LAMBRUSCO: UN NOME UN PROGRAMMA


Etimologia della parola Lambrusco.

Lambrusco: già il nome è tutto un programma. 
Al di là della desinenza «brusco», che identifica la caratteristica tipica dei vini giovani, acidi, tannici, vivaci e gradevoli, le interpretazioni filologiche si rifanno al significato di viti che crescono spontaneamente, in modo selvatico, ai bordi dei campi. 
La parola Lambrusco, dunque, deriva dall’accostamento dei sostantivi latini labrum (orlo, margine) e ruscum (rovo, pianta spontanea).
Questa interpretazione rappresenta l’etimologia ufficiale, ma c’è anche un’altra versione, di sicuro leggendaria, ma assai più affascinante.

Leggende sul Lambrusco.

In un giocoso poemetto di Luigi Bertelli, si narra una storia che inizia con una contestazione. 
Il poeta racconta di un vento dispettoso che dirottò dall’Olimpo verso Castelfranco la biga aerea sulla quale si trovavano Marte, Venere e Bacco, sostenitori dei modenesi nella guerra contro i bolognesi, che Alessandro Tassoni aveva costruito attorno al ratto di una misera secchia di legno. Il vento la fece planare verso nord di qualche miglio, tra Bomporto, Solara e Bastiglia. Guarda caso, proprio davanti a un’osteria. Stanchi e assetati per il lungo viaggio, gli dei ordinarono da bere all’oste, il quale chiese a Bacco se voleva del vino dolce. «Io l’amo brusco» rispose il dio più competente in materia «ma non vorrei spiacesse alla signora». A Venere il vino brusco non piaceva affatto, ma aveva troppa sete per fare le bizze. Così pensò di correggerlo con alcune gocce d’ambrosia, che portava sempre con sé in una fialetta. La versò nel boccale e subito il vino gorgogliò, alzando una generosa spuma, alta e rossa. Bertelli, cogliendo al volo l’opportunità sia di spiegare il nome del vino sia di farlo risalire a origini divine, da bravo poeta dalla rima facile scrive: Ricordo sol che la gentile semenza da cui trarre poter si buon liquore l’ebbi da un tale a cui, con riverenza chiesi che vin volea, di qual sapore: e qui con parlar franco ed etrusco rispose: «Io lo vo’ schietto e l’amo brusco». Pare che i tre inquilini dell’Olimpo, a forza di bere quel vino divenuto magicamente frizzante, s’inebriassero a tal punto da dimenticare lo scopo del viaggio. Scesa la notte, aggiunge maliziosamente Bertelli, «chiesero all’oste un solo letto e un unico lume». Qui finisce la storiella imperniata sui gusti enoici di Bacco e pare prenda abbrivio, con una semplice storpiatura, il nome del Lambrusco. 
La leggenda è un po’ simile a quella dell’ombelico di Venere, che ispirò un oste guardone a imitare con la pasta sfoglia il piccolo e delizioso ombelico di Venere trasformandolo in un tortellino.

Il Lambrusco dalla Bibbia agli antichi Romani.

Dell’esistenza d’uve silvestri dai connotati diversi da quelle domestiche esiste una fondamentale testimonianza già nella Bibbia. Isaia, uno dei profeti più importanti, afferma: «Il Signore possedeva una vigna sopra un fertile colle. L’aveva vangata, sgombrata dai sassi, vi aveva piantato scelte viti, costruito in mezzo una torre e scavato un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica». La prova che nella zona padana la vite «labrusca » rappresenta la prima esperienza enologica si trova già nei reperti dell’età del bronzo. A quel periodo appartiene il rinvenimento di semi di vite silvestre proprio nelle zone dell’attuale produzione del Lambrusco, in località archeologiche collocate quasi sempre presso le terramare, isole emergenti dai paludosi acquitrini provocati dalle acque dei fiumi che si riversavano nel Po e sulle prime propaggini appenniniche. Successivi rinvenimenti hanno fatto ritenere che queste uve selvatiche, oltre che ai Latini, fossero già note anche agli Etruschi e ai Galli liguri. Lambrusche o «labrusche» erano per gli antichi romani le viti selvatiche che si arrampicavano spontanee sugli alberi nei boschi appenninici. Ne scrissero, lodando le virtù del «vino aspro e raschiante» che se ne poteva ricavare, autori passati alla storia. 

Il vero significato della parola Lambrusco.

Solamente ai primi del Settecento, però, si cominciò a usare la parola Lambrusco per indicare il prodotto ottenuto dall’omonimo vitigno. Le testimonianze scritte più importanti giungono da Publio Virgilio Marone (poeta mantovano, nato nel 70 a.C. e figlio di piccoli proprietari terrieri), che parla dell’esistenza della «vitis labrusca», già oltre duemila anni fa, nella quinta egloga delle Bucoliche. Mopso si rivolge a Menalca con queste parole: «Aspice, ut antrum silvestris raris sparsit labrusca racemis». Ciò che riveste la grotta di radi grappoli è appunto la «labrusca», che a quei tempi non era certamente una vite domestica, ma cresceva in modo naturale anche nell’agro mantovano. Marco Porcio Catone, detto «il Censore», la cita nel Liber de agri cultura attorno al 160 a.C., Marco Terenzio Varrone la descrive nel De re rustica del 37 a.C. Plinio il Vecchio (23- 79 d.C.) in Naturalis historia sintetizza con perfetta aderenza una delle principali caratteristiche dell’uva «labrusca»: «Singolare remedium ad refrigerandos in morbis corporum ardores», definendola un singolare rimedio per rinfrescare il calore del corpo. 
Lucio Giunio Moderato Columella ha lasciato, fra il 60 e il 65 d.C., il trattato De re rustica, che rappresenta la maggior fonte di conoscenza sull’agricoltura romana di quei tempi, compresa la coltivazione della vite. In particolare, approfondisce un aspetto essenziale della coltivazione delle uve lambrusche: la necessità di assecondarne la naturale vigoria, soprattutto negli ambienti umidi e fertili. 
Consiglia, se si desidera vino di buona qualità, di innalzare le viti sino alla cima degli alberi, quasi come si sarebbe fatto poi nelle campagne modenesi quando si maritava la vite all’olmo. Dioscoride, botanico greco che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone (I secolo d.C.), dissertando sulla vite, distingue la «vitis vinifera» dalla «vitis labrusca», affermando che di quest’ultima ne esistono due specie, una delle quali si limita alla fioritura e ferma la sua maturazione ad acini piccoli e neri. 
 

Articolo tratto dal libro “La rivincita del Lambrusco” di Sandro Bellei, Aliberti Compagnia Editoriale