La classificazione dei vitigni: un viaggio tra storia e curiosità
Il panorama dei vitigni coltivati è così ampio e variegato che da sempre è stato accompagnato dalla curiosità di classificare, caratterizzare, riconoscere questa molteplicità.
Dai georgici latini agli ampelografi dell’Ottocento, l’osservazione visiva ha tentato per secoli di definire degli standard varietali, ma solo in tempi recenti si è raggiunto un buon livello di “oggettivazione” dei rilievi visivi, inevitabilmente viziati dalla conoscenza e dall’esperienza di ciascun “osservatore”.
Infatti, è del 1949 la proposta (Dalmasso e Branas) di costituzione di una commissione di esperti, i cui lavori portarono alla definizione di una prima Scheda ampelografica, con cui furono caratterizzati anche alcuni dei principali vitigni coltivati in Italia (Ministero dell’Agricoltura, anni 1960-65 e 1991).
Da qui si posero le basi per arrivare, sotto l’egida dell’OIV (l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), al “Codice internazionale dei caratteri descrittivi delle varietà e specie di vite”, allo scopo di assicurare uniformità nella descrizione di specie, varietà e biotipi diversi di vite, grazie alla codificazione dei caratteri e dei loro livelli di espressione.
Per caratterizzare un vitigno, il primo passo da fare è sicuramente la sua descrizione visiva, procedendo in parallelo a una indagine conoscitiva della sua diffusione spaziale e temporale in un determinato areale. L’ampelometria, ovvero la misura di determinati elementi della foglia (nervature, denti eccetera) e del grappolo, poi, ci può venire in aiuto.
L'evoluzione delle indagini ampelografiche: il caso della spergola
Con il tempo sono stati messi a punto sistemi di analisi chimiche, biochimiche e molecolari, che ad oggi stanno “sistemando” parecchie sinonimie e/o omonimie.
Anche la spergola è passata attraverso questo percorso evolutivo delle indagini.
A seguito dei lavori per la realizzazione delle schede ampelografiche dei vitigni italiani, nel 1961, Italo Cosmo e Mario Polsinelli adottarono per la prima volta la denominazione spergolina come sinonimo di sauvignon e misero in evidenza la presenza nella zona di Scandiano di una varietà denominata «Spergolina verde» che «nulla ha a che fare con la Spergolina» e che essi identificarono nel sémillon. Per certi versi insinuarono il sospetto che la spergola reggiana fosse diversa dal sauvignon, ma nel contempo aumentarono la confusione adducendo una possibile sinonimia con sémillon. Quando fu istituito il “Registro nazionale delle varietà di vite” (1969) si fece riferimento alle schede ampelografiche degli anni Sessanta e per il vitigno sauvignon (DM 25 maggio 1970) vennero indicati come sinonimi: champagne, pellegrina, spergolina e piccabon.
Stando così le cose, nel 1976, pertanto, risultò del tutto lineare indicare, come base ampelografica per la realizzazione del vino DOC “Colli di Scandiano e Canossa Bianco”: 85 per cento sauvignon, localmente detto “spergola” o “spergolina”.
A metà degli anni Novanta, però, quando si iniziarono a rinnovare i vecchi vigneti di spergola utilizzando barbatelle di sauvignon, come indicato dal “Disciplinare”, i dubbi aumentarono e l’ESAVE (l’Ente per gli Studi e l’Assistenza Viticola ed Enologica dell’Emilia-Romagna) cercò di dirimerli con una più raffinata descrizione morfologica (Codici OIV) e con la realizzazione di analisi isoenzimatiche (presso l’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano), da cui emergeva che la spergola potesse essere qualcosa di differente dal sauvignon.
Solo a seguito della caratterizzazione genetica condotta dalla professoressa Filippetti dell’Università di Bologna, nel 2001, si chiarì definitivamente che spergola, sauvignon e sémillon erano varietà distinte tra di loro e fu possibile iscrivere al “Registro nazionale” la spergola come varietà a sé stante (DM 15/05/2002).
Le origini della spergola: un mistero da svelare
Nel prosieguo sono stati avviati diversi progetti di caratterizzazione di vecchie varietà locali e le banche dati delle analisi genetiche si sono arricchite di nuove accessioni, rivelando ulteriori curiosità intorno a questo vitigno. Un lavoro dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Barbieri et al., 2010) ha messo in evidenza un’interessante variabilità intravarietale in spergola, che potrebbe spiegare gli errori di attribuzione del passato. Inoltre si è visto che nel piacentino era presente una vecchia varietà, denominata barbesino, che ricordava molto la spergola. Questa varietà locale, ormai rintracciabile solo in rarissimi esemplari e conservata nella “collezione” Mossi di Albareto di Ziano Piacentino, è stata messa a confronto con la spergola e con alcune accessioni di pellegrina, reperite nella bassa modenese (Finale, Camposanto, San Felice sul Panaro), nessuna delle quali era morfologicamente così simile alla spergola da poter paventare una sinonimia.
Le analisi ampelografica e ampelometrica eseguite in prima battuta hanno mostrato una vicinanza significativa della spergola con il barbesino, mentre il sinonimo di pellegrina poteva essere confutato, come confermato poi dall’analisi genetica.
Queste verifiche hanno permesso di dirimere la confusione tra spergola e pellegrina, che è stata iscritta come varietà a sé nel “Repertorio della biodiversità dell’Emilia Romagna” (Det. Responsabile Servizio Ricerca, Innovazione e Promozione del Sistema Agroalimentare n. 3969, 1 aprile 2015), mentre barbesino è stato introdotto come sinonimo di spergola nel “Repertorio” medesimo.
Rimaneva da verificare la possibile sinonimia con la vernaccia di Oristano, visto che a suo tempo l’analisi isoenzimatica aveva messo in relazione le due varietà.
La valutazione dei profili genetici pubblicati sul “Registro nazionale delle varietà di vite” e alcuni confronti con colleghi che si occupano di caratterizzazione varietale (Schneider e coll.; Filippetti e Pastore; comunicazioni personali) consentono di affermare che la spergola e la vernaccia di Oristano sono la stessa varietà e sarebbe interessante poter approfondire il percorso storico di questo vitigno, che allo stato attuale delle conoscenze è ragionevole ipotizzare sia arrivato sull’Isola dal “continente”.
Articolo e immagine tratti dal libro “SPERGOLA - Un vitigno reggiano Viaggio tra storia, vini e territorio” di Giulia Bianco, Aliberti Compagnia Editoriale.