I benefici del tappo di Sughero per il Lambrusco
Fino alla fine del Settecento il Lambrusco non poteva essere ancora quello delizioso di oggi, perché gli mancavano alcuni «accessori». Tra questi, il tappo di sughero.
Il suo accoppiamento con la bottiglia di vino, che fece compiere all’enologia un grandissimo miglioramento, fu sperimentato (guarda caso) in Francia, già alla fine del Seicento, ma soltanto per i vini pregiati.
Il Lambrusco: l’unico champagne rouge del mondo
In Italia, il tappo di sughero, che rappresentò una piccola fortuna per la Sardegna (la maggior produttrice degli alberi da cui si ricava la corteccia per la fabbricazione dei tappi), si diffuse abbastanza lentamente. Ci volle oltre un secolo, perché anche il Lambrusco potesse beneficiare dei vantaggi del sughero. Da allora, questo vino, chiuso in una bottiglia sigillata, poté finalmente esprimere a pieno tutte le sue doti e tenere vivace sino al momento della stappatura la rossa spuma frizzante che l’ha fatto definire l’unico «champagne rouge» del mondo, una qualifica che gli spetta di diritto, anche se in teoria dovrebbe dividerla con la Vernaccia marchigiana, che si produce in piccolissime quantità a Serrapetrona, un vino altrettanto rosso e frizzante, ma molto più abboccato.
Lambrusco, vino nuovo
Il ritardo nell’applicazione del tappo di sughero alle bottiglie di Lambrusco non fu dovuto alla trascuratezza o all’arretratezza dei produttori modenesi, ma più semplicemente alle caratteristiche della cucina locale dell’epoca che, sebbene già in piena evoluzione, non era ancora pronta ad accettare un vino «nuovo», con caratteristiche così nettamente diverse da quelle dei vini cui era sempre stata abituata.
Il Lambrusco così come lo conosciamo noi è nato soltanto nel XVIII secolo, più precisamente alla fine del Settecento. Prima di allora dominavano un po’ su tutte le tavole i vini bianchi, specialmente il Trebbiano, l’Albana e la Malvasia, di buon grado alcolico, piuttosto dolci e più adatti ai gusti e alla cucina dell’epoca.
Il Lambrusco esisteva anche prima ma, come testimonia nel 1644 il bolognese Vincenzo Tanara nel suo li-bro L’economia del cittadino in villa, questa vite era ritenuta selvatica, non ancora del tutto entrata nell’ordinaria coltura come vitigno domestico e considerata più adatta a produrre uva da taglio. Il Tanara intende la «labrusca» come vite da seme e afferma che «chi ne potesse avere vendemmiata tar-di, far vino brusco, maturo, piccante, raro… singolare dote della vite, che nel servatico ancor riesca perfetta».
L’era del Lambrusco
Quando i vini bianchi, piuttosto alcolici e dolci, passarono di moda come i duri e anonimi vini neri (ottenuti anche con la «labrusca») tolti dalla botte e serviti in caraffa direttamente sulla tavola, iniziò l’era del Lambrusco. L’esperimento di sigillare le bottiglie con il tappo di sughero per conservare meglio il contenuto, che aveva già reso celebri alcuni vini francesi, fu tentato anche da qualche produttore locale. Il successo fu immediato e vastissimo. Nel 1700 circa, si ebbe un’im- – 17 – portante innovazione tecnica per la conservazione di questo vino frizzante: l’introduzione di una particolare bottiglia denominata Borgognona, caratterizzata da un vetro resistente e spesso e il relativo tappo di sughero tenuto fermo con l’aiuto di uno spago che altrimenti tenderebbe a saltare a causa della rifermentazione degli zuccheri che crea anidride carbonica.
Articolo tratto dal libro “La rivincita del Lambrusco” di Sandro Bellei, Aliberti Compagnia Editoriale